KERMES n. 110 – “Far conoscere e attuare il II Protocollo dell’Aja ‘sin dal tempo di pace'”
“Dissemination for safeguarding”
RUBRICA REDAZIONALE SULLA PBC A RISCHIO
in collaborazione con il Maniscalco Center
(Valentina Sabucco, Daniele Oro)
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Far conoscere e attuare il II Protocollo dell’Aja
‘sin dal tempo di pace’
Valentina Sabucco, articolo pubblicato in KERMES n.110, luglio 2019
Con il ciclo di incontri di primavera, si sono concluse le iniziative in occasione del XX anniversario del II Protocollo del 1999, addizionale alla Convenzione dell’Aja del 1954
(di cui si celebrano anche i dieci anni della legge nazionale di ratifica, n. 45 del 16 aprile 2009):
— il workshop di aggiornamento SOS – La cultura e i suoi nemici, rivolto ai professionisti della cultura sull’attuazione dell’art. 30 del II Protocollo dell’Aja del 1999 e sul ruolo del Blue Shield International, svoltosi al Salone del Libro di Torino e promosso da MAB e Regione Piemonte;
— il convegno La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato a vent’anni dal II Protocollo alla Convenzione dell’Aja del 1954, tenutosi presso l’Università Ca’ Foscari il 27-28 maggio, per iniziativa del CESTUDIR e della Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace;
— il convegno internazionale Protezione del Patrimonio culturale e forze di polizia europea, a cura della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, svoltosi a
Tortona in data 6-7 giugno.
A livello internazionale, l’UNESCO, con il supporto del governo svizzero, aveva già organizzato a Ginevra, il 25-26 aprile, un’importante conferenza internazionale dal tema Protezione dei beni culturali, che aveva sottolineato i punti di forza del II Protocollo e le sfide poste alla sua ratifica. In quest’occasione, Karima Bennoune, relatore speciale nel campo dei diritti culturali per le Nazioni Unite, ha fissato un nuovo traguardo: aumentare considerevolmente il numero di Stati che hanno ratificato il II protocollo entro il 2024.
In rappresentanza di due istituti italiani, rinomati a livello internazionale per le loro attività nell’ambito della protezione dei beni a rischio, c’erano il Ten. Col. Gianpietro Romano, esperto del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, e il Prof. Fausto Pocar, presidente dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Sanremo (IIHL). L’evento si è concluso con un invito a una maggiore collaborazione tra le parti (forze militari, organizzazioni nazionali e internazionali, protezione civile ed esperti di beni culturali, inclusi i giuristi), così come a un maggiore impegno da parte di tutti nel mettere in pratica misure e piani di sicurezza in tempo di pace per evitare che eventi, come i recenti devastanti incendi del Museo Nazionale di San Paolo e di Notre-Dame, possano ripetersi.
Questi sono stati i temi portanti anche degli incontri avvenuti in Italia: iniziative scientifiche e divulgative che hanno segnato un lungo e proficuo percorso di avvicinamento,consapevolezza e disseminazione riguardo il concetto di salvaguardia e cooperazione. Infatti, nella fase di conflitto e nel post-conflitto, il danno (non solo bellico, basti pensare ai saccheggi) è spesso irrimediabile: in quella fase si può solo cercare di ‘raccogliere i cocci’ del patrimonio culturale originale ormai perduto, e con esso molte speranze di riconciliazione e ritorno alla convivenza pacifica. Lo scopo del sistema giuridico e organizzativo di salvaguardia faticosamente elaborato a partire dal 1954 da UNESCO, IIHL e, più di recente, da varie ONG culturali, è invece quello di
limitare, se non è possibile evitare del tutto, la distruzione o il danneggiamento del patrimonio culturale, intervenendo prima del conflitto, con tutte le relative attività che vanno svolte “sin dal tempo di pace” secondo le prescrizioni di Convenzione dell’Aja del 1954 e del suo II Protocollo.
Ciò non esclude, naturalmente, che le migliori esperienze post-conflitto possano essere acquisite e approfondite per trarne utili insegnamenti da mettere in atto in vista di possibili (purtroppo probabili) nuovi conflitti o crisi di ogni genere.
Investire nella conservazione e preventiva protezione dell’originale, creando lavoro programmabile, non solo aiuterebbe a limitare le spese di recupero e restauro dei materiali durante e dopo il sorgere di conflitti, quando l’urgenza dell’intervento e le condizioni avverse possono minacciare la qualità del lavoro finale, ma agevolerebbe le attività di primo soccorso ai beni culturali. Per utilizzare un’espressione coniata in occasione della conferenza di Ginevra, sebbene investire in prevenzione non sia ‘sexy’, stati, organizzazioni internazionali come l’UNESCO, e ONG nazionali sono chiamati a spingere in questa direzione.
Ma quali potrebbero essere le misure da adottare in tempo di pace?
Gli strumenti istituzionali per questo lavoro possono essere da un lato dei dossier di candidatura per i beni – soprattutto musei, siti archeologici, biblioteche e archivi – da sottoporre alla “protezione rafforzata” dell’UNESCO, e dall’altro dei piani di gestione e sicurezza per i siti già inseriti o candidati alla Lista del Patrimonio Mondiale (e quindi anche ‘candidabili’ alla lista del Patrimonio in Pericolo, ex art. 11 della Convenzione del 1972). Qualcosa di analogo si potrebbe pensare anche per il patrimonio intangibile a rischio, a cui è interamente consacrata, in realtà, la Convenzione di Parigi del 2003, le cui finalità vengono talvolta erroneamente associate alla promozione turistica o enogastronomica.
Tale azione di salvaguardia è però impossibile senza l’attiva e consapevole partecipazione degli esperti appartenenti alle ONG culturali, di cui è molto incoraggiata la collaborazione con la protezione civile, i vigili del fuoco, le forze di polizia, i responsabili pubblici della gestione, tutela e restauro dei beni e, ultimo ma non meno importante, le comunità patrimoniali locali interessate.
In caso di emergenze, ognuna di queste parti dovrebbe farsi carico non solo delle opere d’arte e d’architettura, ma anche dei beni storici ed etnoantropologici, con tutto
il loro inscindibile ‘patrimonio intangibile’ che subisce i danni bellici come e più dei beni materiali, ma che quasi mai si può ‘restaurare’ nel post-conflitto.
Su questo dovrebbe in primo luogo concentrarsi la ricerca e quindi anche la formazione, rispetto alla quale si dovrebbe perseguire uno studio approfondito del processo di elaborazione e discussione delle Guidelines del II Protocollo del 1999, approvate nel novembre 2009 a Parigi dal 1999 Second Protocol Committee dell’UNESCO, dopo quattro anni di complesso lavoro.
Un simile progetto scientifico e formativo, sebbene ambizioso, avrebbe un immenso impatto sulla protezione dei beni culturali in situazioni di emergenza, così come è avvenuto in passato con la capillare diffusione del Diritto Umanitario in tutto il mondo da parte della Croce Rossa Internazionale.
In tal senso, infatti, Blue Shield International ha già avviato l’organizzazione di corsi (l’ultimo tenutosi a Londra) per promuovere l’incontro di esperti dei beni culturali e
forze militari all’interno di possibili scenari di conflitto, capire qual è il ruolo e le sfide che ciascuna parte deve sostenere in tali situazioni, e incentivare la messa in pratica
da parte di ciascuno di preventive misure di sicurezza, il tutto mitigando il più possibile i danni ai beni culturali.
Sempre in quest’ottica, lo stesso Blue Shield sta collaborando con forze armate a livello nazionale e internazionale per sviluppare database standard per inventari, da
utilizzare in caso di conflitto.
Questi indirizzi programmatici erano già stati affermati in un passato recente, in più sedi e occasioni, sempre seguite e documentate da Kermes:
— il convegno Science for Preservation of Cultural Heritage at Risk (Università di Bologna-Ravenna, 13-14 giugno 2018), i cui importanti risultati sono stati presentati in Kermes n. 106;
— la presentazione del volume Beni culturali e conflitti armati, pubblicato online dal CNR (ILIESI Digitale, Roma 2018), tenutasi presso la Biblioteca dell’Enciclopedia
Treccani di Roma, il 21 febbraio 2019 (recensione in Kermes n.108);
— la conferenza conclusiva del Master Cultural Property Protection in Crisis Response, tenutosi alla Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino (presentazione in Kermes n.109).
Proprio il volume a cura di Silvia Chiodi e Gian Carlo Fedeli, realizzato grazie al contributo per la stampa di Kermes, oggi si potrebbe considerare come una sorta di ‘documento programmatico’ per arrivare finalmente a un’auspicata fase di soluzione di problemi inerenti alla protezione dei beni culturali, affrontati ma non pienamente risolti dalla Convenzione dell’Aja 1954 e poi dal II Protocollo del 1999.
Purtroppo anche il II Protocollo, come la precedente Convenzione, resta ancora in gran parte inattuato e lunga è ancora la strada da percorrere a livello nazionale. Per
questo Kermes seguirà e promuoverà anche nei prossimi mesi questo processo di attuazione, soprattutto da parte delle molte istituzioni culturali, accademiche e professionali del settore che hanno sede e operano in Italia. Organizzazioni con le quali lo stesso Blue Shield International è fortemente intenzionato a collaborare per incentivare lo scambio di conoscenze e il reciproco aiuto, il tutto con il fine di proteggere ciò che rende l’uomo tale: la sua storia, la sua identità e i suoi valori dovunque e in qualsiasi forma essi si trovino.
Per questo dedicheremo al tema uno spazio permanente intitolato appunto Dissemination for safeguarding, al quale si sommeranno altre iniziative come un convegno a Firenze in occasione del salone di maggio 2020.
info:
https://www.kermes-restauro.it/abbonamenti-acquisto-fascicoli/