KERMES n. 106 – Perché salvare le opere d’arte: un convegno sulla prevenzione delle situazioni di rischio
DISSEMINATION FOR SAFEGUARDING
di Donatella Biagi Maino e Giuseppe Maino
Fenomeni naturali, dai sismi alle frane, dalle alluvioni agli incendi, e attività dell’uomo come guerre e terrorismo, o più semplicemente l’inquinamento atmosferico e
l’eccessiva pressione turistica o l’incuria e la mancanza di adeguata manutenzione, mettono sempre più a rischio il patrimonio culturale in ogni paese del mondo. Ma perché conservare la memoria del nostro passato? Già il Cicerone britannico, Edmund Burke, nel 1790 osservava che “gli uomini che non guardano mai indietro, verso i propri antenati, non saranno mai capaci di guardare avanti, verso i posteri”, come ricorda Salvatore Settis nel recentissimo catalogo dell’esposizione torinese “Anche le statue muoiono. Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo”, aggiungendo che “per vivere il presente, consapevoli del passato, costruendo un futuro che ne sia degno, è necessario dunque coltivare una lungimiranza bifronte, dove la conoscenza del passato sia ingrediente essenziale per la comprensione dell’oggi e per immaginare ogni possibile domani.”
Oggi lo sviluppo delle conoscenze nelle discipline storiche, archeologiche e artistiche, la disponibilità di strumenti informatici evoluti, da internet al cloud computing alle tecniche di intelligenza artificiale, e i progressi sensazionali nelle scienze fisiche, chimiche, matematiche, naturali e ingegneristiche rendono possibile un’azione consapevole di prevenzione del rischio e di messa in sicurezza delle opere d’arte impensabile ancora pochi anni fa. Basti pensare all’ideazione e applicazione di metodologie innovative di controllo remoto, di sensoristica wireless attiva in tempo reale, di diagnostica non distruttiva e non invasiva per l’indagine e lo studio dei materiali costitutivi l’opera dell’arte e della sua tecnica esecutiva al fine di determinare e mantenere le condizioni ottimali di conservazione e di eventuale esposizione sia in ambienti indoor sia outdoor. Per questi motivi, in un 2018 prescelto dall’Unione Europea come anno europeo del patrimonio culturale, ci è sembrato necessario organizzare un convegno internazionale di studi per fare il punto sullo stato dell’arte delle ricerche nel campo della prevenzione dei rischi per i beni culturali, riunendo esperti di conservazione e museologia, storici dell’arte e architetti, giuristi e archeologi, restauratori e conservatori, scienziati e operatori delle istituzioni internazionali e delle ONG nonché editori e studiosi di teoria delle comunicazioni.
Il simposio “Science for preservation of cultural heritage at risk” si è svolto il 13 giugno presso l’Accademia delle Scienze dell’istituto di Bologna, il cui presidente
Ferruccio Trifirò è stato con noi l’ideatore e l’organizzatore dell’incontro, ed è proseguito il 14 giugno a Ravenna presso la sede del dipartimento di beni culturali dell’Università di Bologna, che ha sostenuto l’iniziativa.
La scienza della conservazione ha a che fare con la gestione e la comprensione della dinamica di sistemi complessi che richiedono approcci di tipo olistico e non semplicemente riduzionistico: da qui la necessità di un confronto e di una sinergia multidisciplinari che possono originare soltanto da una molteplicità di contributi fra
competenze ed esperienze diverse ma integrate fra loro.
Terrorismo e beni culturali sono un esempio paradigmatico di sistema complesso che può essere affrontato solo conoscendo la realtà con cui si ha a che fare (storica,
sociale, politica ed economica, ma anche militare e giuridica) e disponendo di strumenti e tecnologie adeguate per il controllo, la messa in sicurezza, il monitoraggio
continuo e la documentazione, nonché di protocolli operativi e gestionali per affrontare le emergenze di qualsiasi tipo soprattutto prima – prevenzione – ma anche
durante e dopo l’evento catastrofico. E va rimarcato come l’emergenza sia un fatto quotidiano e non soltanto episodico in occasione di eventi eccezionali. La scopo del
convegno è stato proprio quello di proporre un approccio multidisciplinare e di affrontare così temi spinosi da molteplici punti di vista, non soltanto materici ma anche storici, filologici, politici ecc. in una visione globale dove l’opera d’arte è inserita in un più vasto contesto ambientale e territoriale. Un approccio sistemico che già decenni fa aveva improntato l’attività di Giovanni Urbani e il suo Piano Pilota per l’Umbria del quale è stata sottolineata l’attualità più volte nel corso delle due giornate di interventi.
Relazioni di autorevoli esperti che sono state introdotti da una lectio magistralis del generale Fabrizio Parrulli, Comandante Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale,
che ha illustrato le attività dell’Arma nel settore, in particolare nella lotta al traffico clandestino di opere d’arte trafugate.
Marco Pretelli, Kristian Fabbri e Anna Bonora dell’Università di Bologna hanno affrontato il tema cruciale del controllo del microclima in ambienti indoor e outdoor, a
partire da una rassegna delle funzionalità degli edifici storici fino alle più recenti esperienze di progetti europei. Sulla sensoristica e sulle più aggiornate applicazioni hanno poi presentato nuovi risultati delle loro ricerche Paola De Nuntiis dell’ISAC – CNR e Matteo Montanari dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Melania Zanetti dell’Università Cà Foscari di Venezia ha approfondito il significato di rischio per il patrimonio archivistico e bibliografico, mentre i beni culturali e architettonici come obiettivi militari e come pretesto per il dialogo interculturale sono stati oggetto della relazione di Nora Lombardini ed Elena Fioretto del Politecnico di
Milano. Andrea Galeazzi, direttore di “Kermes” ha contribuito con un importante intervento su informazione dialogo condivisione per la salvaguardia del patrimonio a rischio, basato sulla sua pluriennale esperienza di editore e di organizzatore culturale. Donatella Biagi Maino dell’Università di Bologna ha riferito sulla proposta di
un protocollo innovativo per la messa in sicurezza del patrimonio culturale; Stefano Benazzi, ordinario di antropologia presso lo stesso ateneo, ha invece mostrato gli
esiti straordinari consentiti dalle tecniche di modellazione 3D e image processing nella ricostruzione virtuale di resti scheletrici di ominini.
Il giorno successivo, a Ravenna, Isber Sabrine, presidente dell’ONG Heritage for Peace, ha illustrato la drammatica situazione dei beni culturali in Siria e delle possibili iniziative per una ricostruzione, argomento anche della relazione di Annamaria Duello: Siria: il patrimonio culturale come vittima di guerra. Quindi, Pietro Segala – direttore dell’Istituto Mnemosyne di Brescia – ha ricordato il lascito etico-civile di Giovanni Urbani e la necessità, ribadita anche nelle conclusioni del convegno, di una azione preventiva di manutenzione-conservazione dell’opera
d’arte nel suo contesto urbanistico e territoriale.
Claudio Cimino, segretario generale di WATCH, e Massimo Carcione (Blue Shield Network – Maniscalco Center) hanno discusso il ruolo delle organizzazioni
internazionali e le questioni di metodo per la messa in sicurezza del patrimonio a rischio. La proposta finale di Carcione di redigere e pubblicare un manuale operativo
è stata accolta con entusiasmo dai partecipanti e sarà oggetto di un progetto di ricerca appoggiato dall’Università di Bologna.
Paolo Virilli, restauratore e fondatore della Tecnireco, costituita a Spoleto a partire dall’esperienza pilota di Giovanni Urbani e Bruno Toscano, ha riferito sul suo
intervento di restauro del rosone principale del Duomo di Spoleto prima – durante – dopo i terremoti. Quindi, Lorenzo Marchesini – vicepresidente dell’Accademia
Italiana di Scienze Forensi – e Simone Paziani della LOT Quantum Design, hanno sottolineato l’importanza delle indagini diagnostiche nella conservazione e nel restauro dei beni culturali, illustrando le più moderne e innovative
strumentazioni di analisi. In conclusione, Lisa Bonati, Alessandra De Masi e Elena
Grazia Fé dell’Università di Bologna hanno riportato i risultati di un progetto europeo per la salvaguardia dei siti UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità.
Dal convegno è chiaramente emerso che, se esiste oggi una migliore conoscenza dei fattori di rischio per il patrimonio culturale, anche alla luce della ricchezza e varietà delle conoscenze sin qui sviluppate, per contro le misure preventive normalmente concepite e dispiegate per contrastare, o quantomeno mitigare gli effetti spesso
catastrofici causati dagli eventi naturali o dall’azione dell’uomo in tutte le loro possibili declinazioni, risultano spesso inadeguate. Occorre perseguire forme innovative di intervento, considerando il bene culturale in una prospettiva completa, che collochi il singolo manufatto, documento od edificio storico, in un contesto museale, urbanistico, territoriale, ambientale, tale da consentirne la comprensione della dinamica storica e garantirne le più adeguate e consone condizioni di conservazione.
È inutile procedere a un intervento di restauro di un edificio, un monumento o un dipinto senza prevedere le condizioni di rischio ambientale (esposizione a possibili
disastri naturali e antropici quali sisma, inondazione, incendio, ecc.) o climatico (presenza di inquinanti, umidità, escursioni termiche, ecc.) in cui verrà a trovarsi e
che – senza opportune analisi e adeguati provvedimenti – potranno comportare danno grave o rapido degrado dell’opera pur restaurata.