KERMES n. 113 – Le opere d’arte per il dialogo interculturale e l’accoglienza dei migranti, nei musei e nei siti UNESCO
D I S S E M I N A T I O N F O R S A F E G U A R D I N G
di Giuseppe Maino
ABSTRACT
At the end of 2017, 258 million people have left their home countries to live in other nations. Those whose identity is at stake are encouraged to develop multiple identities, familiarising with other people in hosting countries. Similarly, citizens of the hosting nations need to enrich their cultural identity by collaborating closely with those hosted. In this scenario, cultural heritage can play a key role in facilitating social inclusion.
This was the topic of an international conference ‘ABC: Accoglienza e Beni Culturali’ held in Bologna on October 24th. The article aims to offer an overview of the thought-provoking presentations delivered during the event shedding light on international projects and interesting suggestions on how to actively engage immigrants in their heritage when they are in hosting countries and how the hosting societies can benefit from this inclusion.
Solo da poco tempo, in politica internazionale, la migrazione viene intesa come un aspetto imprescindibile e ormai inevitabile del cambiamento sociale. L’inclusione della
migrazione nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030 (Agenda 2030) e negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite rappresenta un passo importante in questa direzione e significa la volontà di affrontare in maniera seria e costruttiva un tema estremamente complesso ma di enorme rilevanza socio-culturale come quello delle relazioni fra migrazione e sviluppo. Mentre la migrazione influisce sugli esiti delle politiche settoriali di sviluppo, queste a loro volta agiscono sulle dinamiche migratorie e, in questo contesto, l’integrazione/inclusione è un aspetto fondamentale del nesso tra migrazione e sviluppo. Le politiche di integrazione consentono ai migranti di far parte della società che li accoglie, di esercitare un ruolo attivo e di accedere equamente alle stesse opportunità delle persone che vivono intorno a loro. In assenza di politiche che consentano ai migranti di comunicare, utilizzare e sviluppare le loro competenze, di operare nella nuova società in cui si trovano a vivere, di sentirsi accettati e accolti, è impossibile che i progetti di accoglienza-inclusione-sviluppo dei migranti siano efficaci o abbiano un effetto significativo della
migrazione sul benessere del paese ospitante (1).
La percentuale globale dei migranti rispetto ai non migranti è pressoché stabile, collocandosi intorno al 3% della popolazione mondiale. Secondo il rapporto ONU sulle migrazioni internazionali, pubblicato in occasione della Giornata internazionale dei migranti alla fine del 2017, sono 258 milioni di persone ad aver lasciato i loro Paesi di nascita per vivere in altre nazioni, con un aumento del 49% rispetto al 2000, quando erano 173 milioni, e del 18% rispetto al 2010, quando se ne contavano 220 milioni. Sono numeri impressionanti e significativi di cambiamenti epocali, che richiedono
– fra le tante difficoltà e i problemi sociali ed economici che ne derivano – anche approcci e soluzioni innovative per favorire l’accoglienza dei migranti e per la realizzazione di un autentico dialogo interculturale e non una ‘semplice’ integrazione o assimilazione. I beni culturali possono essere una delle chiavi possibili per affrontare questa sfida.
Di fronte a questo problema, il patrimonio culturale può fungere da strumento per l’integrazione sociale. Quando parliamo di integrazione sociale, ci riferiamo all’integrazione dei cittadini con pari diritti e opportunità, che colpisce gli immigrati e anche la popolazione ospite, non all’integrazione culturale come forma di assimilazione.
Per l’anno accademico 2019/2020, l’Istituto di Studi Avanzati (ISA) dell’Università di Bologna ha scelto l’ISA Topic Identità: una, nessuna, centomila (fig. 1), che è stato
appena inaugurato dall’iniziativa Identità fluide: rappresentazioni e prospettive storiche e attuali promossa da Silvia Albertazzi e Eva-Maria Christina Thune del Dipartimento LILEC (Lingue, Letterature e Culture Moderne) e Donatella Biagi Maino del Dipartimento Beni Culturali, con il convegno internazionale organizzato da quest’ultima e da chi scrive, ABC – Accoglienza e Beni Culturali che si è svolto il
24 ottobre scorso a Bologna presso la sede universitaria di Palazzo Marchesini.
L’iniziativa dell’ISA nasce dal presupposto che, nella società di oggi, i fenomeni migratori e di accoglienza/inclusione richiedono la consapevolezza che l’individuo non
abbia più un’identità ben definita ma, di fronte al rischio di perderla e di non averne più nessuna (il migrante), possa e debba assumerne molteplici, da quella di origine e provenienza a quella della nuova realtà di cui è ospite e alla quale può utilmente contribuire con la propria esperienza di vita e di conoscenze. Allo stesso modo, il cittadino della società ospitante può e deve arricchirsi culturalmente e non solo dal contatto con altre realtà, acquisendo così nuove identità in aggiunta e complemento alla sua propria.
Il convegno del 24 ottobre si proponeva difatti di rispondere alle anzidette domande connesse al rapporto tra patrimonio culturale, arte e inclusione sociale a partire da
alcune delle più note esperienze a livello europeo di valorizzazione del museo come luogo di inclusione sociale, riconoscimento e mediazione interculturale. Attraverso
la partecipazione al patrimonio culturale, possono essere attuate politiche pubbliche che sono l’opposto delle tendenze segregazioniste e discriminatorie che gli stati stessi generano e che siano utili ad aumentare la capacità dell’uso del patrimonio culturale come argomento contrario al fondamentalismo islamico e alla xenofobia nei paesi ospitanti.
Il patrimonio è fondamentale per definire l’identità, ma è anche elemento di dialogo interculturale. Conoscere e apprezzare il patrimonio altrui è importante per una
ricezione positiva e la comprensione reciproca. Chi arriva può comprendere meglio la cultura e lo stile di vita del Paese di destinazione attraverso la conoscenza dell’arte.
Infine, vedere valorizzata la propria cultura nei Paesi europei è importante per gli immigrati, che così ritrovano le proprie radici.
Salma Jreige (Museum of Islamic Art, Berlino, Germania) ha quindi illustrato il progetto Multaka: Museum as Meeting Point and the Europe-Wide Multaka Network, mentre Isber Sabrine (CSIC – Agencia Estatal Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Spagna, e presidente di Heritage for Peace, Barcellona, Spagna) ha mostrato i primi risultati dell’iniziativa spagnola Abuab, sostenuta dall’Istituzione
Milà i Fontanals del CSIC e dall’Università di Girona con il contributo della ONG Heritage for Peace.
Multaka: Museum as Meeting Point – Refugees as Guides in Berlin Museums è un progetto iniziato nel 2016 tramite una collaborazione fra diversi musei di Berlino, il Museum für Islamische Kunst, il Vorderasiatisches Museum, il Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst e il Deutsches Historisches Museum.
I rifugiati siriani e iracheni vengono formati come guide museali in modo che possano quindi fornire visite guidate ai rifugiati di lingua araba nella loro lingua madre. Multaka (termine arabo per “punto d’incontro”) mira anche a facilitare lo scambio di diverse esperienze culturali e storiche. In collaborazione con il dipartimento di Istruzione, sensibilizzazione e servizi per i visitatori dello Staatliche Museen e il dipartimento Istruzione e sensibilizzazione del Deutsches Historisches Museum, è stato realizzato un programma di formazione per le guide, basato sui temi dei
musei e delle problematiche di didattica e metodologia. I manufatti siriani e iracheni esposti nel Museum für Islamische Kunst e nel Museo Vorderasiatisches sono eccezionali testimonianze della storia dell’umanità. Sperimentando l’apprezzamento che il museo mostra per questi oggetti culturali dalle loro terre d’origine, i migranti rafforzano la loro autostima e viene così promossa l’integrazione sicura e costruttiva dei rifugiati nella società occidentale. Le visite guidate nello Skulpturensammlung und Museum für Byzantische Kunst fanno riferimento alle radici interreligiose e alle origini comuni delle tre religioni monoteistiche dell’islam, dell’ebraismo e del cristianesimo.
Le culture nella regione del Mediterraneo orientale sono state caratterizzate nel corso dei secoli da società religiose ed etnicamente plurali, che oggi sono minacciate. I musei sono siti commemorativi di un passato comune.Infine, il Deutsches Historisches Museum offre una piattaforma di riflessione che consente agli immigrati di conoscere meglio la cultura e la storia tedesca, con tutte le sue crisi e i rinnovamenti. La maggior parte delle 25 guide per apprendisti provenienti dall’Iraq e dalla Siria ha scelto questo museo come luogo di lavoro preferito. Le guide introducono i visitatori nel processo di osservazione e interpretazione degli oggetti. In questo modo, attraverso il dialogo reciproco e la considerazione della propria storia, i visitatori diventano partecipanti attivi. Ad un altro livello, le visite guidate si concentrano sui collegamenti storici e culturali tra Germania, Siria e Iraq, attraverso la rappresentazione di elementi comuni e l’incorporazione in una più ampia narrazione culturale e storica.
Il progetto Multaka è stato di recente introdotto e sperimentato presso l’Ashmolean Museum di Oxford, mentre è in preparazione un’ulteriore applicazione dell’iniziativa
presso il museo del Louvre a Parigi.
Abuab (in lingua araba significa “porte”) è un progetto che mira a lavorare sull’uso del patrimonio culturale come strumento di integrazione sociale per rifugiati/immigrati
di lingua araba provenienti dal vicino Oriente – in particolare Siria e Iraq – e dal Nord Africa, e dipenderà dalla partecipazione essenziale e dalla collaborazione dei musei
in diverse città europee. Con questo obiettivo, proponiamo lo sviluppo di un progetto multidisciplinare che lavorerà alla gestione del patrimonio, dell’antropologia, della storia dell’arte, dell’educazione e dell’archeologia.
Il contrasto culturale tra immigrati e abitanti del posto genera tensioni da entrambe le parti e di conseguenza un aumento dei movimenti xenofobi e isolazionisti. La mancanza di coinvolgimento degli immigrati porta spesso alla loro marginalizzazione in termini socioeconomici e può portare allo sviluppo di atteggiamenti che ostacolano la coesistenza pacifica e la cooperazione sociale.
Il convegno è proseguito con l’intervento di Eric Jong Yoong Lee (Dongguk University College of Law – YIJUN Institute of International Law, Seoul, Korea) e Olimpia Niglio (Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies, Japan; Asian Cultural Landscape Association, Seoul, Korea), Research proposal on cultural
diplomacy and heritage: Diplomazia culturale è un progetto scientifico interdisciplinare finalizzato a promuovere l’interscambio e la comprensione reciproca relativamente a ricerche accademiche, idee, iniziative e altri aspetti della cultura che caratterizzano i singoli stati (2).
Corinna Del Bianco, consigliere della Fondazione Romualdo Del Bianco di Firenze, ha trattato l’argomento, di grande attualità e interesse anche economico oltre che culturale, del turismo sostenibile, soffermandosi sulle attività dell’International Institute Life Beyond Tourism, promosso dalla Fondazione, e sul prossimo International “Symposium Building Peace through Heritage”, che si terrà a Firenze dal 13 al 15 marzo dell’anno prossimo.
Secondo Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Musei della città di Bologna, la cultura si deve interrogare sui temi principali del nuovo millennio: povertà, immigrazione, guerra, identità. Quindi cos’è un museo? Uno spazio pubblico! Definirlo significa prendere una posizione sociale e politica, ed è molto complicato. La definizione proposta dall’ICOM stabilisce che “museums are democratising, inclusive and polyphonic spaces for critical dialogue about the past and the futures”.
Il provocatorio intervento di Massimo Carcione (Centro di Documentazione della Benedicta, Regione Piemonte), sul tema “World Heritage: Patrimonio mio, tuo, nostro o dell’Umanità?”, dopo aver sottolineato l’importanza del Diritto internazionale del Patrimonio culturale per costruire un efficace sistema di conservazione e salvaguardia dei beni a rischio per conflitti, calamità e incuria, ma anche per terrorismo, ha sollevato un interrogativo: i musei sono davvero il luogo più adatto per i primi passi dell’integrazione? In alternativa ha quindi proposto il modello dei siti UNESCO, che peraltro sono sovente paesaggi culturali o intere città (e quindi includono anche musei, biblioteche e archivi), dunque offrono una varietà di patrimonio molto
ampia e onnicomprensiva. Tutti aspetti che hanno un forte valore aggiunto simbolico per i migranti che potrebbero visitarli e poi magari diventarne guide e custodi: il loro carattere “paritario” rispetto ai siti World Heritage dei rispettivi Paesi di provenienza, dal momento che rispecchiano tutti lo stesso valore e significato universale e non di rado hanno anche caratteristiche comuni o simili, ad esempio perché sono stati danneggiati e saccheggiati (o rispettati, salvati e restituiti) nel corso dei secoli.
A patto però di recuperare la valenza originaria della Convenzione di Parigi del 1972: i siti UNESCO infatti sono e devono essere vissuti come luoghi di dialogo e pace, e quindi anche di condivisione, rispetto e integrazione; e non più soltanto come una lista internazionale delle più esclusive mete turistiche, quali ormai vengono considerati dai media.
Claudio Cimino (segretario generale di WATCH – World Association for the Protection of Tangible and Intangible Cultural Heritage in times of armed conflicts) ha riassunto e
commentato i principali documenti e protocolli internazionali volti a ridurre il rischio e a proteggere il patrimonio culturale e ambientale, dalla Convenzione dell’Aia a quelle
UNESCO e al testo di Sendai 2015. Tutti i documenti esistenti dovrebbero essere raccolti e trasformati in azione concreta; invece, purtroppo, rimangono sulla carta. Dal 2009 al 2015 WATCH ha coordinato il progetto europeo War Free che nel 2016 si è tradotto in un dossier concreto che ha portato all’ingresso del sito georgiano di Mtskheta nella lista della Protezione Rafforzata dell’Unesco. Bisogna ridurre il rischio
per creare una situazione più sicura possibile per il patrimonio culturale, analizzando i fattori di pericolo e di degrado sul territorio. Fare azione di prevenzione, inoltre,
include anche studiare e prevenire la cattiva gestione del territorio o urbanistica e le catastrofi naturali. Una società non è resiliente se perde il suo patrimonio culturale, perché perde la propria ‘geolocalizzazione’. Infine, il patrimonio culturale genera il 3% medio ogni anno dell’indotto turistico. Al momento attuale, WATCH non promuove nuovi progetti ma istituisce tavoli di confronto e stabilisce accordi internazionali
con le autorità del Paese considerato per concordare un percorso comune di protezione del patrimonio culturale. Oggi WATCH ha personale presente in oltre 25 Paesi.
Successivamente, Paolo Ognibene dell’Università di Bologna, nella sua relazione su Linguistic and Cultural Misunderstandings in Different Societies, ha efficacemente
illustrato con numerosi esempi la difficoltà di comunicare fra ambiti culturali differenti e la conseguente necessità di approfondire le reciproche conoscenze culturali e linguistiche al fine di evitare pericolosi fraintendimenti.
Paola De Nuntiis (CNR – ISAC Institute of Atmospheric Sciences and Climate, Bologna) ha invece discusso un tema di grandissima attualità e di enorme impatto sociale, economico e culturale: Patrimonio culturale a rischio per eventi naturali o antropici correlati ai cambiamenti climatici, mentre Davide Bocelli (consulente d’innovazione) si è occupato di illustrare le Nuove tecnologie per i beni culturali,
con particolare riferimento all’applicazione di intelligenze artificiali in questo settore.
Infine, Andrea Griletto, direttore di Assorestauro, ha mostrato diversi esempi di collaborazioni internazionali promosse dalla sua associazione e rivolte ad interventi di
restauro in Paesi come Cuba, Turchia e Libano, soprattutto con finalità di formazione di personale tecnico specializzato in queste nazioni. Il convegno si è concluso con un dibattito coordinato da Margarita Diaz-Andreu (ICREA e Università di Barcellona, Spagna) e da Luca Zan (Università di Bologna).
Al termine del convegno, il Gruppo di lavoro per la Salvaguardia del patrimonio a rischio fin dal tempo di pace (coordinato dalla prof. Donatella Biagi Maino) ha
concordato di proporre alle istituzioni culturali bolognesi e nazionali l’avvio di un progetto di informazione, sensibilizzazione e formazione sul tema. La proposta intende contribuire a risolvere un problema socio-politico di grande importanza al momento attuale, collaborando alla costruzione di uno strumento di comprensione reciproca che consista nel favorire il dialogo interculturale sui valori rappresentati nel patrimonio culturale. L’obiettivo è quello di avere un impatto sia sui nuovi arrivati che
sulle popolazioni locali. I primi scopriranno i valori della società ospitante attraverso le loro creazioni artistiche e culturali, nello stesso momento in cui apprezzano il contributo del patrimonio che i loro paesi di origine hanno apportato alla cultura universale. I secondi scopriranno l’interesse degli immigrati nel comprendere ciò che la società ospitante offre di culturalmente rilevante. Questo dialogo può aiutare a creare complicità nella costruzione di una società in fase di cambiamento.
NOTE
1. Cfr. la pubblicazione Migrazione, Integrazione, Sviluppo – Rafforzare
l’inclusione per promuovere lo sviluppo, realizzata nell’ottobre
2019 dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni
(OIM) – Missione in Italia – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo,
con il sostegno del governo italiano, primo volume di
una serie dedicata ad affrontare i processi di co-sviluppo ed inclusione
sociale dei migranti.
2. In occasione di questo convegno è stato presentato il primo
volume di una collana dedicata a questi temi: E.Y.J. Lee, O. Niglio,
Cultural Diplomacy & Heritage, Tabedizioni, Roma 2019